D. Alcune
tue opere hanno anticipato l'attuale diffusione della software art. Le tue
prime macchine programmate per produrre immagini casuali e poi lasciate
funzionare all'infinito (IMachines) risalgono agli anni '80. Parlaci
della tua idea di estetica della programmazione. Che differenza c'é tra i
tuoi lavori e le altre manifestazioni riconducibili alla
software art e all'arte generativa?
Maurizio Bolognini. Si potrebbe dire che, rispetto alla
software art, tutto quello che appare su un monitor a me interessa meno. In
generale mi interessa poco produrre ed esporre immagini. Ma bisognerebbe fare un
passo indietro e partire da una premessa. Di solito nell'arte, a ogni fase di
innovazione (in cui si elaborano nuovi strumenti e significati) segue una fase
di diffusione, in cui l'attenzione critica sulla natura e sulle possibilità
di quegli strumenti viene messa in secondo piano. Anche nel caso delle arti
tecnologiche c'é stata una prima fase, durata oltre vent'anni, molto
innovativa e caratterizzata da un uso autoreferenziale delle tecnologie
digitali. A questa fase sta seguendo da alcuni anni, anche grazie alla riduzione
dei costi delle apparecchiature, un fase di diffusione, di cui anche molta
software art fa parte.
Rispetto a quest'ultima la diversità più evidente del mio
lavoro sta nel fatto che le mie immagini, di solito grovigli di linee e traiettorie
infinite, sono in fondo solo delle possibilità di immagini; mi interessa più
il processo del risultato.
Per rispondere alla domanda, dal mio punto di
vista l'estetica della programmazione é l'estetica del tuo gesto
amplificato all'infinito, attraverso la macchina, e allo stesso tempo é
l'estetica della delega alla macchina e della rinuncia al controllo. Anche
nella software art generativa questi aspetti sono presenti ma restano in secondo piano,
perché c'è una ricerca sulle immagini, che naturalmente in alcuni casi può essere di grande
interesse. Poi le mie installazioni sono spesso costituite da dispositivi che vanno
oltre la macchina e comprendono il pubblico, il quale può interferire con il
funzionamento della macchina, come nelle CIMs (Collective Intelligence
Machines),
installazioni interattive in cui alcune delle mie macchine programmate sono
collegate alla rete telefonica cellulare, consentendo a chiunque di intervenire
dal proprio telefono.
D. In questo
senso sottolinei che il tuo é un approccio quantitativo anzichè qualitativo?
M.B. E' quantitativo nel senso che nelle mie installazioni la programmazione
viene usata per generare delle infinità fuori controllo. Possono essere
immagini, testi, voci o altro. Si tratta in ogni caso di un lavoro che,
rispetto alla software art, vuole
essere vuoto, assoluto, distante dalla sfera pratica, più legato alla
ricerca concettuale. In quelli che ho definito approcci qualitativi, come gran
parte della software art, al contrario, viene meno la distanza dalla sfera
pratica e ci si avvicina in alcuni casi al design (il design generativo é
una cosa interessantissima) o alla ricerca scientifica.
D. Una delle
caratteristiche comuni alle tue produzioni é la rinuncia al controllo. In che
modo viene messa in atto? E con quale risultato?
M.B. In tutti i modi possibili: attraverso algoritmi o prendendo dati da fonti
esterne o coinvolgendo il pubblico stesso. Il risultato é evidente. I lavori a cui ti
riferisci sono fatti di delega al dispositivo (e questo può estendersi fino a
comprendere qualsiasi cosa, il pubblico in primo luogo), di rinuncia al
controllo, di caos, di sproporzione tra l'artista e il suo lavoro, che tende a
oltrepassarlo. Ma anche di contemplazione del caos e della sproporzione, che per
la prima volta, grazie alla tecnologie digitali, possono diventare oggetto di
sperimentazione.
D. In che termini si può
parlare d'infoinstallazioni per riferirsi ai tuoi dispositivi?
M.B. Ho
usato questa definizione qualche anno fa (riprendendola più tardi come titolo
di due mostre, al Museo Laboratorio dell'Università di Roma e al WHACenter di
New York), per dire che con la definizione di media art si
tende a mettere insieme cose molto diverse e non equivalenti. In particolare
volevo sottolineare la differenza rispetto alle videoinstallazioni, che sono
legate alla rappresentazione, mentre le infoinstallazioni, basate sull'uso di
computer e reti, possono andare oltre: sono generative. Le infoinstallazioni
sono l'arte resa possibile dalla seconda fase dell'elettricità, che é
digitale.
D. E di
queste fanno parte per esempio le tue IMachines, i Computer
sigillati, le Collective Intelligence Machines, Atlas 2, Aims…
Puoi descrivere alcuni di questi lavori?
M.B. Le IMachines e i Computer sigillati
sono macchine programmate (alcune da oltre 15 anni, e sono ormai centinaia) per
produrre flussi di immagini casuali, o altri tipi di elaborazione, e poi
lasciate funzionare indefinitamente; nel secondo caso senza monitor. In questa
serie la delega alla macchina avviene attraverso algoritmi che utilizzando la
possibilità dei computer di generare numeri pseudocasuali, impiegandoli poi per
provocare eventi casuali di diverso tipo.